Nel cuore di un’Europa immersa in un anti-rinascimento oscurantista, tra le corti slovacche e le ombre di castelli impenetrabili, si consuma la leggenda di Erzsébet Báthory, la donna che fece della bellezza un’ossessione mortale.
Nata nel XVI secolo, la contessa ungherese è passata alla storia come la più spietata delle alchimiste della giovinezza, pronta a tutto pur di conservare la pelle liscia e luminosa di un’adolescente.
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Secondo la tradizione, Erzsébet avrebbe scoperto un rimedio anti-age tanto miracoloso quanto macabro: il sangue delle vergini. In esso, sosteneva, si celava la giusta concentrazione di antiossidanti e agenti illuminanti, capaci di restituire splendore e compattezza al volto. Così, tra crocifissi e icone bizantine, la contessa trasformò il suo castello in un laboratorio di bellezza e orrore.
Le cronache raccontano di giovani fanciulle appese al soffitto, i loro corpi ridotti a strumenti di un rituale che mescolava fede e follia. Le gocce cremisi che stillavano dai loro corpi cadevano sulla fronte della contessa come una benedizione pentecostale.
In quell’istante, Erzsébet si abbandonava a un’estasi mistica, sospesa tra la beatificazione e l’ebbrezza di una visione allucinata.
Nel suo diario, si parla di seicento vittime, ma gli storici ne attribuiscono oltre tremila. Un numero che trasforma la contessa in un simbolo estremo della vanità umana, dove la ricerca della perfezione diventa condanna.
Erzsébet Báthory non fu solo una figura storica, ma un archetipo: la prima “Forever Young”, la progenitrice di una stirpe che ancora oggi popola i social e le passerelle, dove la giovinezza è promessa, ossessione e condanna.
La sua storia, intrisa di sangue e bellezza, resta un monito: quando la pelle diventa religione, la moralità si dissolve come cera al sole.